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Formazione, il Governo annuncia novità per gli specializzandi. Ecco le principali

Il ministero dell’Università ha stanziato ulteriori 100 milioni per finanziare 900 nuovi contratti di formazione per gli specializzandi medici a partire dal 2019. A dare la notizia in una nota è Manuel Tuzi, medico specializzando e deputato del Movimento 5 Stelle in Commissione Cultura. Che rivela: il governo è al lavoro per aumentare ancora le risorse. I fondi, spiega Tuzi a Doctor33, «non sono in dotazione alle Regioni ma incorporati nel bilancio dello Stato all’articolo 41 della manovra, in questi termini: 22,5 milioni di euro nel 2019, 45 milioni per il 2020, 68,4 per il 2021, 91,8 per il 2022 e di 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2023. Nella relazione tecnica si legge: a legislazione vigente il finanziamento complessivamente disponibile a valere sul bilancio statale per la finalità in oggetto è pari a 708 milioni di euro per il 2019 e a 702 milioni di euro… A decorrere dal 2020 pertanto con l’incremento 2019-2023 sopra citato si consente di poter aumentare a partire dal 2019, di circa 900 unità il numero dei contratti di formazione specialistica». Aggiunge Tuzi che «a breve partiranno dei cicli di audizioni per tutte le sigle associative e sindacali. Va attuata una seria riforma del percorso che rimanga come pietra miliare per Medicina generale e specializzazioni mediche. Abbiamo un testo vecchio di 20 anni che è stato ritoccato più volte senza una coraggiosa riforma del sistema. Il modello attuale ha fallito, sotto più punti di vista. Bisogna dare più tutele e diritti, rivedere il contratto, i contributi pensionistici e velocizzare l’entrata nel mondo del lavoro per i giovani, adeguandosi ai requisiti europei sulla durata dei percorsi formativi». L’iniziativa del governo si accompagna ad un piano di risparmio sui corsi – recentissimo l’emendamento del governo volto, nella manovra 2019, a ridurre la durata delle scuole ai tempi identici di quei paesi europei dove il corso dura di meno – e si colloca in un quadro in cui anche le Regioni vanno incrementando la loro quota di borse di specialità con proprie risorse. Ma, come ad esempio la Lombardia in una proposta di legge, chiedono allo specializzando qualcosa in cambio: nello specifico, risiedere da 3 anni in regione oppure essere disposto a restarci almeno 3 anni una volta presa la specialità. «Chiediamo con forza che si difenda un percorso di specializzazione finalizzato ad assicurare le medesime competenze su tutto il territorio italiano», rimarca sul punto Tuzi. «Il nostro servizio sanitario è nazionale, e i professionisti, che ne costituiscono il cuore, devono potersi formare al meglio indipendentemente dalla loro sede di origine. La formazione medica è un patrimonio della collettività e una frammentazione dei percorsi su base regionale mediante canali formativi paralleli giustificati in nome della risoluzione dell’imbuto formativo rischia di smantellare questo importantissimo principio di universalità». «Se le Regioni vogliono partecipare con un maggiore e cospicuo incremento delle borse ben venga, ma non si svilupperà alcun percorso parallelo», puntualizza Tuzi in merito a una formazione regionale in ospedali d’insegnamento che prescinda dal percorso post-laurea esistente. «Se si vogliono trovare risorse per gli specializzandi non si ricorra a strategie per acquisire manovalanza a buon mercato, ma si trovino senza scuse i fondi per i contratti nazionali ancora mancanti, e si tuteli l’uniforme acquisizione delle competenze con tutti gli strumenti necessari, facendo ruotare gli specializzandi nelle reti formative sul territorio già previste dal DIM 402/2017».Alle borse in più plaude Stefano Guicciardi presidente di FederSpecializzandi: «Novecento contratti in più sono un passo avanti. Pur avvicinandosi alla soglia richiesta, siamo tuttavia ben lontani dal chiudere l’imbuto formativo formatosi negli anni. Solo l’anno scorso in quasi 16 mila laureati hanno tentato il test di specialità: occorrerebbe intervenire con altre borse in più, per sanare sistematicamente questo gap». Le regioni esprimevano un fabbisogno di circa 8500 specializzandi e rispetto ai 6934 contratti complessivi (6200 quelli MIUR) messi a disposizione un anno fa ora arriviamo a circa 7800 borse. Guicciardi pone poi due paletti, uno sui vincoli posti dalle regioni e uno ancor più netto all’accesso al Ssn di medici non specializzati formati in teaching hospital. «La quota di contratti regionali sul totale dei contratti specializzandi è circa uno a dieci, parliamo di borse integrative a quelle ministeriali che si configurano come un supporto rispetto alla necessità del Ssn di avere più specialisti. Comprendiamo che le Regioni che hanno fatto un investimento formativo pongano condizioni, ma l’ingresso condizionato dev’essere una quota marginale, deve restare preponderante e solido il principio dell’accesso senza vincoli al Ssn a partire da un concorso nazionale. E diciamo no a una formazione fatta in canali paralleli al post-laurea esistente come quelli che si erano ipotizzati nei pre-accordi sull’autonomia in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Per noi sarebbe del tutto inidoneo un ospedale di insegnamento autonomo posto al di fuori della rete formativa riordinata dal Decreto interministeriale 402/2017, dove già sono riportate le strutture accreditate alle quali si appoggiano le nostre Scuole di Specializzazione. Uno specializzando oggi ha l’opportunità di formarsi adeguatamente in più strutture e deve poterlo fare; pensare a un medico formato in una sola struttura fuori dal circuito va a discapito della qualità della formazione e del servizio».

Mauro Miserendino Doctor33 29/11/18

29 Novembre 2018